di Paolo Pagliaro
C’è una classifica europea che misura l’uguaglianza tra uomini e donne nei 27 paesi che compongono l’Unione. Si valutano 6 aspetti: potere decisionale, utilizzo del tempo, conoscenza, salute, denaro e lavoro. L’Italia è in 14esima posizione, pur essendo ultima per quanto riguarda il lavoro. Sta a metà classifica solo grazie alla buona performance nel settore della salute e ai progressi nella distribuzione dei posti di potere, dove sono state efficaci le leggi sulle quote rosa, dalle liste elettorali ai consigli d’aministrazione delle società quotate.
In ambiti dove la selezione e il relativo potere dipendono dal merito, il problema non si pone: E’ donna per esempio, il 55% dei magistrati e anche nella carriera prefettizia le donne sono più della metà. Ma in molti altri comparti i divari sono ancora voragini. I dati si trovano nel dossier sulla legislazione di genere che il Servizio Studi della Camera ha pubblicato in occasione dell’8 marzo. Il rapporto raccoglie le principali misure approvate dal Parlamento nelle ultime legislature e si sofferma sugli interventi previsti dal Pnrr, che ha la parità di genere tra le sue priorità.
Naturalmente è decisivo il versante privato. E qui vengono in soccorso alcune ricerche pubblicate in questi giorni. “Leadership femminile. Esiste davvero?” è il titolo di un volume edito da Franco Angeli in cui Chiara Galgani e Valeria Santoro approfondiscono il rapporto tra mondo femminile e ruoli di responsabilità imprenditoriale. Tema affrontaro da Federmanager, che ha presentato una guida pensata anche per quel 27% di aziende che allo scopo di promuovere le vendite predicano l’inclusione, ma si guardano bene dal metterla in pratica.
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